Quarta di copertina -

............Vittorio Melis, scrive di quella Sardegna più problematica e realistica "l'ambiente" spesso dimenticato, più spesso trascurato in quel contesto umano-naturale che richiama alla mente storie reali intrise da lacrime di vita quotidiana in quei tessuti di terra che ancora vive, martoriata dalla storia degli altri.  In questi brevi racconti da mettere sul comodino per una piacevole e riflessiva lettura, si trovano mille perché e domande che, nell'attualità di sempre, oggi ancor più riconducono ad attente analisi riflessive di un territorio; un'isola che non riesce a sfuggire il dilemma di sempre. "Amore... per la mia terra" richiede più di un impegno da parte di tutti i sardi, da quelli più in alto a quelli pù in basso, da quelli che figli di quest'antica terra......non intendono più essere solo partoriti! Quasi a dire che con questa raccolta, l'Autore trasmette alla storia una netta realtà collettiva con una semplicità di stile, di immediatezza e vivacità narrativa di una Sardegna non troppo irreale.                                                           

                                                                                             Giuseppe Pinna de Marrubiu - Luglio 1997

 
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Racconto, tratto dalla silloge "Amore... per la mia terra", in memoria dei quattro eroici aviatori precipitati, in territorio di Laconi,  a bordo di un G-222 dell'areonautica militare intervenuto per scongiurare il pericolo che un grosso incendio si propagasse al Parco Aymerich e all'abitato durante la festa in onore di Sant'Ignazio.

29 Agosto 1985

 L’alba annunciava una giornata calda. Il cielo terso era di un azzurro splendente. Dal mattino presto sulle strade che conducono a Laconi, ridente paese del Sarcidano, luogo natale di S. Ignazio, si snodavano lunghe teorie di macchine e pullman. Laconi, oltre che per avere dato i natali al Santo, è famoso per il suo Parco, scrigno verde pervenuto a noi grazie al rispetto soprattutto della sua popolazione, che lo considera un inestimabile patrimonio che va difeso in qualsiasi momento e in qualunque circostanza.Fedeli devoti al povero fraticello santificato, visitatori abituali, gente d’ogni ceto, di lingue e dialetti diversi, provenienti da tutte le parti dell’isola, affollavano il paese e si ritrovavano per la grande festa che ha luogo ogni anno alla fine d’Agosto. La strada principale che attraversa il paese e le stradine laterali che conducono alla chiesa e alla casa natale del Santo erano ingombre di venditori che esponevano le merci più disparate sui loro banconi all’aperto. All’ingresso del paese, sulla sinistra provenendo da Cagliari, in località denominata “Muru”, dove sgorga la fresca acqua di una sorgente, già dal buon mattino si levavano odori stuzzicanti di pesci e di porchetti arrostiti da accaldati ambulanti indaffarati in una spessa coltre di fumo e carboni accesi. Un po’ più avanti sulla destra, da un grande spiazzo occupato da un complesso di giostre e divertimenti vari si levavano musiche assordanti che sovrastavano il vociare spensierato della gente, i richiami invadenti degli ambulanti per acquistare le loro mercanzie, le grida di allegri giovanotti, i lamenti di piccoli e anziani che si facevano largo nella variopinta calca. Le strade erano straripanti di una marea di gente in un interminabile ondeggiante andirivieni per la chiesa, la casa natale del Santo, le giostre, le bancarelle stipate di giocattoli, di souvenir, di prodotti di artigianato, banconi odoranti di dolci tipici dell’isola, di leccornie varie, di fritture e di arrosti. Ormai i raggi del sole cadevano a perpendicolo. Gruppi di pellegrini o gitanti sostavano a riposare o a consumare un frugale pasto sul ciglio di stradine secondarie, all’ombra di accoglienti olmi o sotto un sole scintillante, protetti da ampi cappelli o copricapo improvvisati. I più, per sfuggire alla calura opprimente, si erano diretti con borse, pacchi, thermos, sedie, sdraie e stuoie al parco, per desinare alla fresca ombra ristoratrice della sua fitta ed incantevole vegetazione. Erano a migliaia che brulicavano a ridosso di riposanti cascatelle, di sorgenti sgorganti limpide e fresche acque e di ruscelli serpeggianti tra secolari lecci, imponenti cedri, svettanti ciliegi, ombrosi platani e maestosi ippocastani. Sembrava giunta l’ora della tregua. Una tacita tregua. La musica era cessata e tutti i rumori della festa si erano attenuati per lasciare il posto al desiderato pranzo e al riposo pomeridiano. C’era allegria in ogni dove sotto il caldo quasi opprimente delle prime ore del pomeriggio. Nessuno poteva immaginare che non molto distante da loro, poco più di un chilometro in linea d’aria, verso sud, dietro il colle che sovrasta il paese, “S’atza ‘e Carradore”, un manipolo di intrepidi stava lottando per domare un incendio che mani mosse da una meschinità e riprovevole malvagità, certe di farla franca, avevano scelleratamente causato. Il fuoco stava divampando lungo un selvaggio canalone che guarda ad ovest verso la piana che conduce alla Giara di Gesturi, ad est verso il villaggio e i boschi di “Su Lau” e a Nord, attraverso bassa macchia mediterranea conduce sia al Parco che alla grande pineta che sovrasta il paese a Nord-Est. Era necessario frenare a tutti i costi la fiumana ardente, soprattutto sul versante Nord. Guai se avesse raggiunto la vegetazione, resa arida dalla lunga e siccitosa estate! Sarebbe divampata inarrestabile sul meraviglioso bosco che inviluppa il paese, occupato da decine di migliaia di persone. Non si doveva trasformare un giorno di gran festa in un’immane tragedia! Un sole spietato fiammeggiava feroce e pallido. E atroce era il caldo delle fiamme che divoravano scoppiettanti la fitta e riarsa vegetazione mediterranea in un intrico di lecci, di corbezzoli, di olivastri, di lentischi e di cisto. Valorosi uomini, quelli delle squadre antincendio e i volontari del paese, accorsi fulmineamente stante la gravità della situazione, generosamente conducevano una lotta impari. Invocarono aiuti. Vennero in soccorso dapprima squadre antincendio provenienti da paesi limitrofi e poi altre da paesi lontani. Giunsero alcuni elicotteri che scaricarono sull’indomabile fuoco preziosa acqua prelevata da un vicino laghetto. Ciò nonostante la situazione diventava disperata e drammatica istante per istante. Il rogo era inarrestabile! Sembrava che il Fato fosse avverso. Tutto tramava per far soccombere quegli audaci. Giunse prima un inopportuno scirocco cui seguì un malefico caldo libeccio. Entrambi cominciarono a soffiare spingendo il fronte del fuoco verso Nord. Appelli disperati si sovrapposero l’un l’altro solcando l’etere.Quando la battaglia pareva ormai perduta , ecco udirsi in lontananza, proveniente da mezzogiorno, il rombo di un aereo. Sì, si stava avvicinando sul luogo dell’incendio! Stavano arrivando i tanto sospirati aiuti. Quei generosi e audaci uomini, fiaccati dalla implacabile e spossante lotta, con i volti sudati, rossi per il caldo opprimente e anneriti dal denso e nero fumo di quel rogo indomabile, trassero un sospiro di sollievo. Quanto gradito fu quel suono! E si fermarono un attimo. Sollevarono lo sguardo in direzione del suono. Tra lo scintillio delle lingue di fuoco e la spessa coltre di fumo apparve una scura sagoma, che avanzava per scaricare il suo carico di liquido anticombustione sull’esteso fronte delle inarrestabili fiamme divoratrici. Era un G-222 dell’Aeronautica Militare, proveniente dall’aeroporto di Elmas, adibito ad operazioni di spegnimento di grossi incendi. Si gettò, come un falco per ghermire la preda, sulla vegetazione in fiamme e sorvolando a bassa quota il versante del canalone che guarda a ponente lasciò cadere, in una lunga scia chiara e splendente ai raggi del sole, una parte del suo prezioso liquido. E da quella parte le fiamme si arrestarono. Il velivolo riprese quota e descrivendo un ampio cerchio si riportò in pochi minuti in posizione per effettuare un altro passaggio e scaricare il liquido sul versante del canalone volto a levante. Gli uomini delle squadre antincendio sembravano avere ripreso fiducia. I loro sguardi erano rivolti all’aereo che, proveniente nuovamente da sud, si apprestava a compiere coraggiosamente e audacemente un secondo passaggio tra rosse e gialle fiamme ribollenti in vorticose nubi grigie e nere di denso fumo. Sicuramente l’equipaggio dell’aereo si era reso conto della gravità della situazione. Sì, con un volo radente avrebbero potuto porre fine all’avanzata della fiumana distruttrice. Dall’intuizione alla decisione audace e sprezzante del mortale pericolo, che solo gli eroi sanno prendere in tali circostanze, fu un istante. La sagoma scura si avvicinò. Si abbassò radente al suolo. A terra, sguardi ansiosi seguivano l’avvicinarsi del velivolo col cuore trepidante e con la segreta speranza nella riuscita della missione. L’aereo ruotò inclinandosi paurosamente su un’ala, come un uccello colpito in volo. Tentò disperatamente di riprendere l’assetto normale di volo, ma qualcosa di misterioso e di indecifrabile  glielo impedì. E la tragedia si consumò! E calò un silenzio sepolcrale. Il cielo sembrò oscurarsi, quasi ad impedire che occhi increduli potessero essere colpiti da siffatta straziante immagine. Gli uomini intenti a lottare contro il fuoco, come storditi e colpiti da un evento così avverso si sentirono per un momento impotenti a lottare contro la malasorte. Furono attimi di profondo sconforto. Le fiamme si alzarono più alte di prima e ripresero, come dominate da un impulso scomposto e incontrollabile, la loro opera devastatrice. Ma ecco verificarsi un fatto eccezionale. All’unisono tutti si riebbero dallo sgomento. Con le forze decuplicate, sorretti da una decisa volontà si avventarono sull’inestinguibile rogo, portatore di morte, e infine lo sopraffecero! Tra il clamore della folla festante, del tutto ignara del tragico accaduto, una voce velata da profonda tristezza, si levò dagli altoparlanti e diffuse la tremenda notizia. Informò tutto il popolo accorso ai festeggiamenti che questi venivano interrotti  in segno di lutto per la eroica morte dei quattro aviatori. Calò un silenzio carico di stupore e di incredulità. E l’aria diventò triste mentre le campane suonarono a morto. Mestamente la gente sfollò le strade, le piazze, il Parco e le campagne circostanti. I Laconesi, come colpiti nei loro più intimi e cari affetti, si precipitarono sul luogo del disastro. E mai più avvenga che squallidi e vigliacchi devastatori della propria terra siano protetti da complici silenzi e paure omertose di una insignificante infima e iSul bordo del canalone, sul versante che guarda al sorgere del sole, al mesto pellegrinaggio si presentò uno spettacolo inimmaginabile. Nel fondo valle, reso nero dalla devastazione del fuoco, tra scheletri di arbusti ancora fumanti, con l’aria ancora impregnata dall’acre odore della combustione, a ridosso di un vecchio casolare abbandonato si ergeva la parte anteriore dell’aereo, il muso con le ali, e a circa un centinaio di metri l’altra metà. Vicino ai rottami della metà anteriore, si stagliavano quattro teli bianchi, che mani pietose avevano provveduto a portare per ricoprire quei corpi straziati nel disastro dell’aereo segnato dal Fato. In un silenzio carico di mestizia, volti solcati dalle lacrime, volti sconvolti da un profondo e sincero dolore, volti segnati dallo sconcerto, attoniti, guardavano quel luogo che poco prima aveva visto sfuggire la vita di uomini audaci avvezzi a solcare i cieli per portare soccorso nei luoghi più diversi e lontani dalle loro case, dove lasciarono madri, spose e figli ad attenderli invano.Era assente colui che dolosamente causò l’incendio? Chissà! Pesi sulla sua coscienza, come un macigno, la dipartita di questi eroi.ndegna minoranza. Il popolo di Laconi, unito  nel tributare un doveroso riconoscimento ai quattro caduti , battezzò la piazzetta, vicina alla casa natale di S. Ignazio, “29 Agosto”. Due file di grosse pietre si intersecano, formando una simbolica croce, al centro della quale svetta una grossa stele di roccia arenaria, che vista da lontano parE fu eretto, sul pianoro prospiciente il luogo del disastro, in località “Is Forros” , un monumento sobrio e pur toccante nella sua semplicità.e l’ala di un angelo caduto dal cielo. Dalla parte che volge a mezzogiorno, è posta una lastra in bronzo su cui è inciso:

Aereo G-222 dell'Aeronautica Militare, simile a quello precipitato nelle campagne di LACONI (OR) il 29 agosto 1985
Incendio del 29 agosto 1985 in prossimità dell'abitato di Laconi (OR)
Scorcio del parco di Laconi (OR)
Cascata nel Parco di Laconi (OR)
Bellissima orchidea Orchis Lactea, trovata tra Laconi e Genoni a circa 600 m di altitudine, in macchia mediterranea
Orchis Collina, trovata nelle campagne di Laconi
Monumento, in località "Is Forros" in territorio di Laconi, eretto in memoria del sacrificio dei quattro aviatori precipitati con un G-222 mentre tentavano di domare un incendio che minacciava il Parco e l'abitato di Laconi , il 29 agosto 1985
 

MAGG. FABRIZIO TARASCONI

TEN. PAOLO CAPODACQUA

M.LLO LIDO LUZZI

M.LLO ROSARIO FERRANTE

LA NATURA VIVE

RICORDANDO VOI

CADUTI IL 29-8-1985

LACONI

RICONOSCENTE E GRATA

PREGA IL SIGNORE

AFFINCHÉ VI CONCEDA

ETERNA PACE

29-8-1986 

   O pellegrino, o viandante che tu sia, se passi tra queste balze desolate, avvicinati a questo sacro monumento e sosta. Che tu abbia o no il conforto della Fede rivolgi il tuo pensiero a quei quattro eroi, venuti dal cielo, che immolarono la propria vita per salvare questa antica terra dal furore matricida di un suo crudele e spietato figlio. E anche tu sappi che il loro indelebile eroico gesto ha generato una insperata e miracolosa metamorfosi.  La morte ha lasciato il posto alla vita, ed essi vivono  e per sempre vivranno nei cuori e negli animi degli abitanti di questo ridente paesino, che serberanno loro imperitura riconoscenza. Riposati, seppur per poco, tra le pietre di  questo venerando altare. Guarda tutto intorno e poi volgi lo sguardo verso mezzogiorno. Chiudi gli occhi. Sentirai un sordo rombo d’aereo provenire da lontano, da quella direzione. Ascolta. Il rombo si avvicina, diventa intenso e sempre più intenso….. e poi….. un sordo tonfo…. Poi la quiete. E un brivido ti pervaderà. Udirai un fruscio leggero, come di persone che si avvicinano. Tieni gli occhi chiusi. Sentirai delle voci limpide e leggere. Voci non imploranti che penetrano nel cuore suadenti: O fratelli, non scordatevi di amare e rispettare la Madre terra. In tutti sia la speranza che la nostra Morte possa essere l’ultimo tragico evento a cui quest a assolata isola, al nostro tempo devastata e martoriata, abbia assistito e viva da oggi felice senza bisogno di eroi per difenderla e proteggerla.
 
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